Abbandono: è possibile anche lasciare sé stessi
L’abbandono
Gestire le relazioni, questo è il mio desiderio; affrontiamo il tema dell’abbandono. Sapevi che potevi anche essere tu il primo ad abbandonarti? Ci si può anche abbandonare da soli, si può “lasciare sé stessi”.
Questo scritto riveste per me un’importanza capitale. Finalmente penso di essere riuscito perlomeno ad intravedere il, o uno dei, problema che più mi angustia, spero questa riflessione possa essere d’aiuto.
Una persona che stimo molto, una docente della scuola di counseling “Il mutamento“, mi ha detto una frase che credo mi segnerà nel profondo: “Non servono due persone per assistere ad un abbandono. Ci si può abbandonare anche da soli, puoi anche abbandonarti”.

L’abbandono: io e S
Non avevo mai riflettuto in questi termini su questo concetto. In realtà, sinceramente neanche pensavo di vivere questa paura; la paura dell’abbandono eppure. Per natura sono sempre stata la persona che ha abbandonato, sono stato sempre abituato ad esser io quello che volta le spalle. Quando poi è successo a me, che un’altra persona mi voltasse le spalle, mi sono reso conto che è un’esperienza dolorosa, estremamente dolorosa. Lo immaginavo però non credevo davvero fosse possibile vivere una tale sofferenza.
Nel mio caso, ad esempio, credo di aver vissuto veramente delle esperienze forti e faticose visto ciò che mi è successo però sono proprio molto tranquillo e sereno quando dico che la cosa per me più dolorosa della mia fase di recupero è stata la fine della relazione che stavo vivendo.
Disegno a tratti veloci e grossolani il contesto: io e S eravamo fidanzati da 7 anni, io avevo appena avuto l’incidente (che ha compreso anche 3 mesi di coma e un quasi azzeramento di tutto ciò che avevo imparato sul vivere) però lei c’era, nonostante le difficoltà ha avuto inizialmente il coraggio di esserci. Ad un certo punto ha avuto la possibilità di andare a Parigi tramite l’università. Lei non voleva andare per starmi vicino però io l’ho prontamente spronata a cogliere l’occasione. Ricordo le parole che ho usato: “Pensa se a 70 anni dirai, per colpa sua ho perso quella che poteva essere l’occasione della mia vita”.
Alla fine sono riuscito a convincerla ad ascoltare sé stessa, a non limitarsi solo per me. Così facendo è partita.
Durante la sua permanenza francese ammetto candidamente di non esser stato molto presente, avevo altro, avevo me, su cui concentrarmi. In breve, il racconto terminerà nel 2014, lo stesso anno dell’incidente, quando lei è tornata in Italia per le vacanze natalizie. In particolare, il 24 dicembre lei era da me, ci stavamo scambiando i regali, io non la vedevo da mesi però mi sono accorto ci fosse qualcosa che non andava. Prima di darle il mio regalo, che comprendeva anche la possibilità di una convivenza futura, ho deciso di farle la domanda che mi avrebbe fatto crollare il mondo addosso: “S, c’è qualcosa che non va?” Lei ha provato ad indorare la pillola (cosa che da quel momento odio con tutto me stesso) ma alla fine le ha pronunciate quelle 5 parole.
Sono state come prendere un tram dritto in faccia. “Luca non ti amo più”. Con quelle parole ha tirato giù la serranda.
Mi ci sono voluti anni per superare la cosa, o almeno così pensavo. A quanto pare però non sono riuscito a superare l’evento ma solo ad interiorizzarlo, a nascondermelo alla vista. Credo che il mio bisogno di “un tram in faccia” nasca da quell’episodio.

La paura dell’abbandono
Questo vissuto mi ha poi provocato una naturale (??) paura dell’abbandono sempre presente dentro me. Mi sono accorto anche che tendo a ricercare sempre, nelle relazioni, persone che possano in qualche modo ricostruire degli schemi delle situazioni che ho già vissuto.
Parlando di relazioni c’è un’immagine che mi piace molto e che mi ha fatto vedere da dove nasce il mio tradirmi.
In una relazione ognuno di noi ha una brocca con la quale dare all’altro. Se però la cosa non è vicendevole, ci si trova solo a dare, dare, dare. Questa brocca è piena della sintonia, dei pensieri e delle attenzioni che rivolgiamo all’altro, io mi tradisco, mi abbandono, perché sono sempre pronto a dare però non a ricevere. Mi spiego: per me il ricevere è superfluo.
Questo è abbandonarsi. Prepararsi a vivere una relazione ma a senso unico, senza preoccuparsi che anche l’altro possa rispondere al tuo dare è tradire sé stessi.
Questo è sia un atteggiamento sbagliato che foriero di dolore. Sbagliato perché contrario alla stessa essenza di una relazione dove la vicendevolezza dovrebbe essere alla base del tutto, foriero di dolore perché dare, senza ricevere, fa male. Fa male perché è innaturale, va contro la stessa definizione di relazione e fa male anche perché, quando dai, lo fai credendo o sperando, di ricevere una risposta anche minima in cambio.

Conclusione: mi abbandono
Sono arrivato così alla mia conclusione: mi abbandono. Però, in cosa mi sto abbandonando? Ho abbandonato il Luca che ha diritto di ricevere. Costringendomi ad essere forte, a bastarmi da solo, ho imparato ad evitare di sentire la necessità di ricevere però questa è una modalità d’azione destinata al fallimento, all’abbandono del proprio sé. Ora che ho visualizzato la situazione desidero cambiare lo status quo.
Noi temiamo che qualcuno si allontani da noi però siamo noi quelli che in realtà se ne vanno prima degli altri. Lo facciamo perché temiamo la loro possibile partenza e finiamo per essere noi stessi ad abbandonarci per primi. In più di solito, o almeno così era per me, neanche ce ne accorgiamo.
Tu, cosa ne pensi?
Per te come funziona la storia? Ti accorgi di tendere verso l’abbandono di te stesso o non è così?
Spero di averti offerto un nuovo punto di vista sul tuo essere, una nuova lente attraverso cui valutare il tuo relazionarti agli altri. Riflettere su questa cosa mi ha decisamente aperto gli occhi, spero ti sia utile.
Se volessi condividere la tua esperienza te ne sarei grato.
La paura dell’abbandono ci porta ad abbandonare sé stessi?
Interessante punto di vista.
O Forse abbandoniamo quella parte di noi, che non ci serve più, iniziando a conoscerci da fuori.
Come se in certi momenti vedessimo il nostro stato d’animo manifestarsi in una realtà di relazioni (tangibili) dove scopriamo le nostre fragilità e anti-fragilità.
E mi fai pensare
C’è sempre bisogno della relazione per sentire l’amore in noi?
Grazie